La disciplina della crisi di impresa ha subito recentemente un’ampia revisione. Il governo ha, infatti, emanato il decreto legislativo che contiene il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, pubblicato in GU 14 febbraio 2019 n. 38) in forza della legge delega (contenuta nella L. 155/2017).
Il decreto legge c.d. liquidità, emanato a seguito della emergenza epidemiologica dovuta al Covid-19, ha però posticipato dal 15 agosto 2020 al 1° settembre 2021 l’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza nel suo complesso, ad eccezione di alcune norme, ossia quelle attinenti a: competenza del tribunale in materia di amministrazione straordinaria, obblighi della società in tema di rilevazione della crisi, azioni di responsabilità nella s.r.l., quantificazione del danno nell’azione di responsabilità contro gli amministratori di società che violano l’obbligo di gestione conservativa della società, obbligo dell’organo di controllo o del revisore nella s.r.l., certificazione dei debiti, albo degli incaricati delle funzioni di gestione e di controllo nelle procedure e funzionamento dell’albo, area web riservata, revoca del fallimento e compenso del curatore (le quali sono entrate in vigore il 16 marzo 2019).
Il rinvio permetterà a tutti i soggetti interessati di continuare, quindi, ad operare secondo prassi già consolidate senza dubbi interpretativi e di procedure, consentendo all’intero sistema economico di tornare gradualmente alla normalità.
Anche gli obblighi di segnalazione interni ed esterni collegati alla procedura di allerta entreranno in vigore il 1° settembre 2021.
Pertanto, in generale, tutti i fallimenti e le altre procedure concorsuali e di risanamento della crisi che si sono aperti o che si apriranno fino al 31 agosto 2021, nonché tutte le procedure pendenti a tale data, saranno regolati dalla disciplina dall’attuale legge fallimentare (o dalla legge sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento). Tali normative si applicano e continueranno ad essere applicate ancora per anni dopo il 2021, fino all’esaurimento di tutte le procedure.
Di seguito vengono esaminati gli strumenti giuridici attualmente previsti ai fini della gestione della crisi d’impresa.
Qualora l’azienda si trovi in uno stato di difficoltà non ancora conclamato, si potrebbe far ricorso al piano attestato ex art. 67 L.F., ossia ad una risoluzione stragiudiziale della crisi attraverso l’accordo con i creditori.
Qualora, invece, l’impresa si trovi in una situazione di dissesto già conclamato e rispetti i requisiti di cui all’art. 1 della legge fallimentare, quest’ultima prevede una serie di possibili strumenti volti ad evitare la dichiarazione di fallimento:
- il concordato preventivo (art. 160 e ss L.F.), il quale può essere di natura liquidatoria, mista o in continuità aziendale;
- l’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L.F.), il quale si sostanzia in singoli accordi siglati con i propri creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti.
Nei casi in cui le condizioni economico/finanziarie in cui si trova l’impresa nel momento in cui è chiamata a gestire la crisi non permettano l’accesso agli istituti giuridici sopra richiamati, è auspicabile presentare al Tribunale competente, con tempestività, istanza di autofallimento al fine di non aggravare lo stato di decozione nel quale si trova ed evitare, così, di effettuare operazioni che potrebbero configurare fattispecie penalmente rilevanti, come ad esempio i reati di bancarotta semplice o fraudolenta e il ricorso abusivo al credito.
Va precisato, a tal proposito, che per alcuni enti e categorie di impresa di seguito elencati la legge prevede una procedura alternativa al fallimento, ossia la liquidazione coatta amministrativa:
- imprese bancarie e assicurative;
- società partecipate da enti pubblici;
- società cooperative;
- taluni enti della pubblica amministrazione italiana.
Infine, per concludere l’esame delle casistiche, qualora l’impresa o l’imprenditore individuale non rispetti i requisiti di cui all’art. 1 della legge fallimentare, ossia non eserciti le attività commerciali previste dall’art. 2195 c.c. e sia qualificabile come piccolo imprenditore (ossia nei tre anni precedenti non abbia superato congiuntamente le seguenti soglie: a) ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; b) attivo patrimoniale annuo non superiore ad euro 300.000; c) ammontare dei debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila), può accedere alla sola procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, introdotta dalla Legge n. 3/2012.
Pertanto, quest’ultima è rivolta in generale a tutti i piccoli imprenditori commerciali, ma anche ai professionisti, agli imprenditori del settore agricolo e al privato consumatore.